Non ne avrò mai abbastanza. Mangerò salsa picante su qualsiasi cosa, in ogni momento della giornata. Le cose stano cosi, non posso negarlo. Trascorro molte ore del giorno a fantasticare, a sognare ad occhi aperti e penso alle salse piccanti. Con il trascorrere degli anni ho imparato a controllarmi, all’inizio ero davvero molto peggio. Con gli occhi sgranati mi aggiravo tra I corridoi del Fowler’s Gourmet di Durham, nella Carolina del Nord e mi entusiasmavo all vista di salse come la Piromane dolore al 100%, Habanero disciolto, Donna riprovevole, Chiappe nello spazio, Inferno nucleare, Salsa della morte istantanea.
Chi tra di voi non si lascerebbe intragare da una salsa che porta il nome di Baciami ilculo o Chiamami Sally?
Fin da piccolo ho avuto un rapport abbastanza complicato con le salse piccanti. In famiglia non è mai stato argomento di discussion. I miei genitori non mi avevano insegnato niente a proposito delle salse piccanti, del grande passo che rappresentava assaggiarle, delle responsabilità e dei possibili rischi. Fui lasciato da solo ad esplorare e fantasticare, a riempire I vuoti della mia immaginazione.
La mia prima esperienza risale ai tempi delle scuole superiori. Non fu molto significative a dire il vero. Avrei dovuto essere meno frettoloso, aspettare il momento giusto, ma ero giovane e pieno di desiderio e non mi biasimo per questo. La prima volta accadde tutto molto in fretta. Eravamo seduti a pranzo nella tavola calda della Loudoun County High School di Leesburg in Virginia, quando il nostro nuovo compagno di origini texane tirò fuori dal cestino del pranzo una bottiglietta. La mise lì sotto gli sguardi di tutti! Non credevo ai miei occhi. I ragazzi seduti a tavola la videro, ma non chiesero spiegazioni. Sapevamo cos’era e non ci interessava conoscerne la provenienza. L’etichetta era stata rimossa e si vedeva il liquid da ogni angolatura. Strati di rosso, color cremisi intense sul fondo e giallo plasma nella parte alta. Sparsi nella bottiglia piccolo semi gialli a forma schiacciata.
“Bob non ha mai provato una salsa picante,” disse Tim.
Dannazione, questa era una di quelle cosec he non volevo si sapesse in giro, ma lui lo sapeva. L’altro ragazzo annuì col capo e il texano fissò su di me il suo sguardo mentre agitava la bottiglietta e lenament svitò il tappo.
Mio Dio, no, il mio cervello iniziò ad urlare, ma era tutto troppo forte. Sapevo di doverlo fare. Presi la mia tortilla al formaggio e il texano vi lasciò cadere qualche goccia (non avrebbe permesso mai a nessuno di toccare la sua bottiglia). Decise egli stesso la quantità. Cosa ne potevo sapere io di salse piccanti? Era la mia prima volta. Avevo solo quindici anni. Presi il mio boccone. Appena ne ebbi la bocca piena e iniziai a masticare, la salsa picante mi afferrò la gola come se delle unghie affiliate mi stessero graffiando le tonsille.
Che dolore! Provai solo dolore, nessun sapore. Perché i giovani sono ostretti ad affrontare tutto ciò? Perché a sculoa gli insegnanti non avevano tenuto dei seminari in merito oppure distribuito degli opsucoli di orientamento? La biblioteca certamente non disponeva di libri sull’argomento (ho verificato di persona, pìu di una volta). E nel 1982, all’epoca dei fatti, non avevamo nemmeno Internet.
Avevo la gola in fiamme. La nuca urlava. I miei occhi erano completamente inondati de lacrime. I ragazzi seduti al mio tavolo mi fissarono in silenzio. Il ragazzo texano rideva.
“Piccante, vero?”
In quell momento provai un certo astio nei confronti del bastardo texano, misto ad un senso di soddisfazione per aver superato quest’iniziazione. Ancora dolorante ero consapevole che da quell momento tutti mi avrebbero guardato in modo diverso. Mi sentivo arrivato. Del muco mi colò dal naso e fuggii in bagno mentre i ragazzi seduti al mio tavolo si sbellicavano dale risate.
Quello del college fu un period di sperimentazione ed esplorazione. Ebbi innumerevoli flirt e poche relazioni serie. Per sentirmi in pae con me stesso consumavo la Frank’s Hot Sauce, una salsa insipid ache trovavo nella tavola calda della scuola. Frank’s era sempre lì, non mi giudicava mai ed era pronta ad accettarmi senza chiedersi dove fossi stato o che cosa avessi fatto. Non sono orgoglioso del modo in cui ho trattato Frank’s, ma non volevo segreti tra di noi.
Alcuni anni più tardi, lasciato il college mi trovavo a Denver in visita a casa di mio fratello Philippe, il quale mi iniziò ad una salsa che cambiò la mia esistenza in modo irreversibile. Eravamo nel suo appartamento in Pearl Street e Philippe aveva preparato una pentola di chili vegetariano. Dalla mensola prese una bottiglia di salsa picante di un colore rosso scuro, mai visto priima di allora. Guardai l’etichetta, c’era scritto Salsa della pazzia di Dave. Appresi solo più tardi che citare Dave, in alcuni ambienti era l’equivalente di una stretta di mano data in segreto. I conoscitori delle salse piccanti conoscono Dave, il giornalista che in America è un guru della cultura del pepperoncino.
Philippe tenne silenziosamente la bottiglia in mano per qualche secondo, poi con fare reverenziale la sollevò con entrambe le mani distendendo le braccia a gomiti stretti. Iniziai a ridere. Pensai stesse facendo qualche scherzo di tip religioso, come quando da piccolo arrotolò un biglietto da un dollar e lo mise al posto di Gesù bambino causando così l’ira di nostra madre.
Philippe non stave affatto scherzando. Abbasò la bottiglia e mi spiegò in maniera solenne che per avvicinarsi alla Dave bisognava essere umili e rispettosi. Gongolai. Mi stave prendendo in giro. Mi ammonì ad osservare con attenzione.
Si pose di fronte alla pentola di chili, si rimboccò le maniche della camicia attorno alle braccia fin sopra i gomiti. Con la mano sinistra svitò il tappo della bottiglia e lo ripose, capovolto, sul tavolo a circa otto pollici di distanza dalla pentola di chili. Con la mano destra sollevò la bottiglia e la incline, molto lentamente, sulla ciotola Contemporaneamente incline la testa lung oil bordo della pentola, dal lato sinistro, ruotando lo sguardo verso destra guardando verso la bocca della bottiglia. La mano che reggeva la bottiglia ruotò. I suoi occhi ruotarono. Sul bordo della bottiglia comparve e si confiò una piccolo goccia rossa. Al momento giusto Philippe raddrizzò velocementa la bottiglia. La goccia cadde, precipitò in aria e finì nel chili.
Philippe sospirò ed abbassò la bottiglia. Prese un tovagliolo e si asciugò il sudore dalla fronte. Guardò quindi verso di me. Era il mio turno.
“Stai scherzando” gli dissi “Passala a me.”
Mi diede la bottiglia e mi mise di nuovo in guardia. Pensai che la sua immaginazione corresse un po’ troppo ma ebbi il buon senso di andarci piano con Dave. Inclinai la bottiglia e lasciai cadere un goccia nel mio chili. Una goccia penzolava dall’estremità della bottiglia aggrappata al vetro. Pulii la goccia con la punta del ditto indice sebbene nel frattempo Philippe mi urlasse di non farlo. Mi avrebbe detto poi di aver vissuto quella scena al rallentatore. Era troppo tardi. Il ditto mi finì in bocca prima che potessi fermarlo.
All’inizio sembrava dolce. Mi stuzzicò al punto di desiderarne di più, al punto di credere che non mi avrebbe mai fatto del male. Ma la verità non tardò a venire. Un’inondazione di saliva fuoriuscì da ogni ghiandola della mia bocca. Philippe fece un passo indietro. Rimasi a bocca aperta e mi azzittii. Come posso descrivere quello che provai? Sembrava che Dave mi stesse al contempo martellando la bocca fin sotto la gola con un punzone di metallo mentre continuava a prendermi a calci nello stomaco con stivali dalla punta di ferro. Le chiuse del mio naso si spalancarono, mentre le lacrime mi inondavano gli occhi scivolandomi lung oil viso. Reggevo a malapena il dolore sebbene il mio cervello in estasi urlasse: si, si, oh si. Più forte. Ancora. Bruciami. Umiliami.
Questo è tutto quello che ricordo, sebbene Philippe mi disse più tardi che dopo aver posato la bottiglia mi esibii in una roteante danza dervisci nel suo soggiorno con la testa all’indietro, cantando “Touch Me, Babe” per The Doors.
Nei mesi successivi io e Dave iniziammo una traballante relazione. Avrei dovuto capirlo da quella prima note che non sarebbe stata una storia facile ma non potevo resistere. Dave continuava a bruciare da far paura ma io continuavo a volerne ancora. Durante tutta la nostra relazione Dave aveva un modo molto curioso di farmi sentire in colpa per il dolore che provavo. Per fortuna rinvenni. Era una piovosa mattina di Ottobre quando mi svegliai ed uscii di casa. Avevo chiuso con le salse piccanti. Non le avrei usate mai più.
Il grigiore dell’autunno e l’inverno buio passarono solitari e freddi senza provare neanche una goccia di salsa picante. Non fu difficile soffrire nella penombra di quei giorni freddi, ma il calore della primavera risvegliò in me uno struggente desiderio. Un mattino d’Aprile programmai una visita veloce al Southern Season di Chapel Hill, nella Carolina del Nord, per rifornirmi di un paio di once di Té Okayti Wonder, ma mi ritrovai improvvisamente nel reparto delle salse piccanti.
Era lì sulla mensola. Mi fermai a fissarla. Con dolcezza le mie dita corsero su e giù lung oil vetro liscio della bottiglia. Marie Sharp’s Habanero Pepper Sauce. Ero ipnotizzato dalla lucentezza del suo radioso colore arancio. Ruotai la bottiglia. Cipolla, aglio, carote. Carote? Wow. La descrizione mi lasciò come incantato. Presi la bottiglia dalla mensola e fluttuai verso la cassa.
Quella sera Marie Sharp’s tornò a casa con me. Ci muovemmo e danzammo con una lentezza ed una serenità che non avevo mai immaginato fino a quell momento. Oh bruciava certo non fraintendetemi, ma era una bruciore lento, delizioso, misto a calore, attenzione, gentilezza e gusto. Era questa la novità, ciò che mi stupì, il gusto. Ecco cosa fu: sapore e calore, tenerezza e forza, yin e yang, il dualism degli opposti. Per quattro mesi intensi Marie Sharp’s ha innalzato la mia coscienza e mi ha reso consapevole di me stesso.
Tutto ciò accadeva due anni fa. Negli ultimi tempi, poiché penso di essere pronto per una nuova relazione, non me sento più attratto verso salse com Lingua di fuoco, Carburante per missili rettali, Esplosivo per chiappe. Il mio corpo non ha più nè l’agilità nè la resistenza necessaria per consumarli e sono andato oltre la convinzione che un calore tip esplosione di bazooka sia l’unica strada per la vera gratificazione. Da giovane tutto questo mi divertive, ma ora mi voglio sistemare. Sento di avere accumulato esperienza e mi sento più rilassato. So che se desidero una relazione vera ed appagante devo lasciarmi andare per rilasciare ogni oncia del mio ego. Desidero davvero sottomettermi a qualcosa che stia al di fuori di me, ma devo stare in guardia, devo essere molto cauto. Le bruciature guariscono in fretta. Quel giorno prima o poi arriverà, so che arriverà. Fino ad allora prenderò le cose con calma. Molta colma.
Questo articolo di Bob Slentz-Kesler è pubblicato per gentile concessione della rivista consorella americana “Fiery Foods” diretta da Dave DeWitt che vivamente ringraziamo.
© 2019 Bob Slentz-Kesler